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di ANDREA DI BELLA
Parlare di agricoltura, di contadini, di terra, di diritto al cibo e alla felicità, di Land Grabbing, mi porta a Carlo Petrini, al Movimento di Slow Food e alla filosofia di Terra Madre. Ma il pensiero corre anche verso un altro personaggio straordinario, che ha fatto del concetto di agricoltura, di uomini, di comunità del cibo, una ragione di vita: Pierre Rabhi.
Due personaggi che danno, da sempre, alla terra, agli uomini e al cibo un valore universale, creando un legame inscindibile da cui dipende il destino del mondo.
Nell’ultimo libro di Pierre Rabhi, “Parole di Terra”, edito da Pentagora, il contadino, scrittore e filosofo francese, pioniere dell’agroecologia e della decrescita, racconta la sofferenza e l’abbandono di cui sono vittime i popoli nativi del sud del Mondo, sottomessi a una logica disastrosa fondata sullo sfruttamento intensivo della terra. Si parla di una “iniziazione africana” ma il messaggio di valore universale apre gli occhi e risveglia le coscienze sull’inscindibile legame che che unisce l’uomo alla terra e, attraverso essa, al destino del mondo.
“Rabhi – osserva Yehudi Munuhin in una nota in margine al libro - ci chiama a un atto di riconciliazione urgente, sia reale sia simbolica, tanto essenziale nella sostanza pratica quanto profondamente religiosa. La riconciliazione con la nostra madre terra è persino più urgente della riconciliazione tra gli uomini, poiché la nostra vita dipende dalla nostra terra. Nessuna vita sopravvive su una terra morta. Sotto la forma del racconto, Rabhi presenta la triste storia dell’arroganza umana che, volendo dominare la vita, la distrugge; volendo dominare le specie, le annienta; volendo dominare la terra, la mutila, la tortura, la dissacra”.
Pierre Rabhi, vive in Ardèche, una regione della Francia, dove si dedica all’agricoltura, sostenendo diversi programmi di tutela della terra e dell’ecosistema. Uomo straordinario, pioniere dell’agricoltura ecologica ed esperto internazionale per la lotta contro la desertificazione, professa la necessità di cambiare modello di sviluppo, non solo, ma propone soluzioni.
L’avevo incontrato nel giugno del 2013, in occasione di CinemAmbiente, rassegna cinematografica dedicata ai temi ambientali, della sostenibilità e dell’ecologia.
“ La società cambierà quando la morale e l’etica investiranno le nostre riflessioni”, aveva affermato Pierre Rabhi. E soffermandosi sul concetto di felicità aveva aggiunto che “essere vivi è la felicità più bella che la vita può darci. Siamo sulla terra per gioire non per far crescere il PIL".
“L’uomo è ostaggio della tecnologia, è schiavo. La deriva tecnologica ci potrebbe portare al nulla. Occorre rimettere l’uomo e la natura al centro dell’economia e dell’economia agroalimentare prima di tutto.
“Produrre e consumare fino alla fine della nostra esistenza non è la vera vocazione dell’Uomo, che invece dovrebbe amare, ammirare e prendersi cura della vita sotto tutte le sue forme”.
In una recente intervista con Carlin Petrini, alla domanda del fondatore di Slow Food e Terra Madre, “Noi abbiamo scelto di fare 10.000 orti in Africa, e credo che sia il momento per costruire qualcosa nel continente. Una dimensione umana e di organizzazione, per ricreare una classe dirigente che abbia a cuore la comunità e non il commercio, la salvaguardia della biodiversità, la lotta alla fame e alla malnutrizione”, il contadino-poeta ha risposto che "È una cosa straordinaria. Quando mi hanno domandato di intervenire in Burkina Faso, io non conoscevo quella parte dell'Africa. Ma ho analizzato la situazione. L'agricoltura chimica non si poteva fare, le persone dicevano "io sono talmente povero che non posso acquistare fertilizzanti e diserbanti". È un sistema insostenibile per loro, perché è un sistema fatto per vendere e non per nutrirsi. È il sistema che produce la fame. Ora questo meccanismo sta rovinando anche i contadini europei, perché per fare agricoltura industriale gli strumenti sono troppo cari e la crisi peggiora la situazione. Se c'è gente che fa piccoli orti, io dico "bene!" Un orto è un atto politico, di resistenza".
Un uomo dalla semplicità disarmante, mosso dalla passione, che dà emozioni, quasi spirituale, che incontreremo al prossimo Salone del Gusto e Terra Madre di Torino.
“È il contadino che tiene in vita gli elementi, che detiene la vita e ciò che è fondamentale per essa".
E il filo conduttore arriva a Carlin Petrini, che è perfettamente in sintonia con questi temi. Voi si che riuscirete a cambiare il mondo, che davvero credete, che lottate, che amate la terra e i suoi uomini. E meno male che la vostra voce esiste, che la fate sentire, che la vostra rabbia fa riflettere. Le tue parole, Carlin, creano armonia ed esaltano questo mondo contadino di cui tutti si ricordano nei momenti di crisi. E tu rispondi a tono “Bisogna creare produttività per i piccoli produttori, dobbiamo riappropriarci dei saperi dei vecchi contadini, perché ciò è scienza, è storia, perché ha dato da mangiare, per generazioni, a questa terra”.
Carlin Petrini riesce sempre ad anticipare i tempi e sviluppare suggestioni interessanti.
Riconoscimenti internazionali sono valsi al Presidente di Slow Food per essere, tra i primi interlocutori nel mondo, un portavoce essenziale per i temi legati al diritto all’alimentazione e alla dignità dei popoli. Nel 2004 la rivista Time Magazine gli attribuisce il titolo di Eroe Europeo del nostro tempo nella categoria “Innovator”. Nel gennaio 2008 compare nell’elenco redatto dal quotidiano inglese The Guardian, come unico italiano, tra le “50 persone che potrebbero salvare il mondo”. Nel settembre 2013 gli viene conferito dal Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) il premio Campione della Terra, “per aver reso più efficienti e più sostenibili l’alimentazione e l’offerta di cibo in numerosi Paesi del mondo”.
“Bisogna difendere le buone cause di un sistema agricolo sostenibile che deve essere valorizzato e deve valorizzare il ritorno alla terra da parte dei cittadini. I giovani devono tornare alla terra – ha affermato Petrini, in diverse occasioni – altrimenti noi non avremo futuro in questo campo.”
“Perdere la cultura contadina significa perdere la civiltà, vuol dire perdere l’anima: aveva ragione Pier Paolo Pasolini quando affermava che “il giorno in cui questo Paese perderà l’agricoltura e l’artigianato, non avrà più storia”.
Carlo Petrini ha sempre calcato la mano sull’industria del cibo “Dalla società rurale, descritta da Mario Soldati alla fine degli anni ’50, da quel lavoro contadino, fatto di sofferenza e di fatica, ma anche di poesia, si è passati alla società dei supermercati. Il cibo non ha più valore è solo mercanzia! Lo spreco alimentare, - dice Carlin – oggi, ha proporzioni incredibili. L’economia locale non viene valorizzata. Bisogna far rinascere il senso della comunità, nella mia città non si sente più il profumo del pane”!
“ E’ il momento di riscattare l’umiliazione di migliaia di contadini. E’ il senso dell’economia della felicità: siamo nati per essere felici. Papa Francesco nella sua telefonata di qualche tempo fa mi ha parlato di questo. L’economia non è quella che ci viene proposta. L’economia della felicità ci deve far stare bene con la nostra famiglia, con la comunità. Il Papa mi diceva che sua nonna gli ripeteva spesso una cosa importante, che “quando si muore, nel sudario non ci sono le tasche””.
Come non essere d’accordo con Sua Santità!