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Herbert Hintner, è nato Colle in Val Casies (BZ) il 2 settembre del 1957, è il maggiore di 4 figli, e dopo la licenza media, inizia la sua formazione come cuoco presso l’Hotel Centrale, in Val Badia. Frequenta l’istituto professionale di Bolzano.Terminata la scuola, comincia a formare la sua professionalità lavorando presso diversi hotel dell’Alto Adige. Il primo contatto con la cucina creativa, all’Hotel Klosterbräu di SeefePomodorild.
A soli 25 anni si sposa con Margot Rabensteiner, figlia di Peter Rabensteiner e Rosa Stimpfl, proprietari del Ristorante Zur Rose di Appiano, che affianca il marito occupandosi della carta dei vini che sceglie secondo la loro filosofia che “ho un sguardo sulla tradizione, è molto attenta anche all’innovazione”.
Herbert Hintner ha trovato molto emozionante la lezione sul gusto, che in via sperimentale ha tenuto per un certo periodo presso la scuola media di San Michele/Appiano e ha fatto maturare in lui il desiderio di creare qualcosa di più continuativo rivolto alle giovani generazioni.
Negli anni l’impegno e costanza di Herbert Hintner e della moglie Margot, responsabile anche del personale, vengono premiati dal riconoscimento di famose guide, nazionali e internazionali, cominciando con l’assegnazione della Stella Michelin nel 1995, seguita da 2 cappelli da cuoco e un punteggio di 16/20 per la Gault&Millau, dalle due Stelle della Guida Veronelli, il punteggio di 86/100 per il Gambero Rosso e il punteggio di 16,50/20 per l’Espresso. Sono arrivati anche numerosi premi come la vittoria della Migliore zuppa di vino per Godio (1994), il premio Chef Patron di Veronelli (2008) e “Awards for the Mediterranean Cook book in the world”.
Herbert Hintner è anche l’autore del libro “La mia cucina altoatesina”, pubblicato nel 2007.
Ristorante "Zur Rose" Via Josef Innerhofer 2 • 39057 San Michele • Appiano (BZ) • Tel.+39 0471 662249
E’ la domanda di rito: come e perché s’inizia la carriera di chef?
Sona nato nel ’57 e qui in Alto Adige, in quegli anni non c’era ancora tanto benessere,vengo da una famiglia contadina e la tavola era una cosa che mi ha sempre attirato, forse perché a quei tempi avere anche un papà che cucinava non era così usuale. Nella mia famiglia la tavola ha avuto sempre una grande importanza, non parliamo di cibo di lusso, ma proprio il cibo della tradizione come l’orzo, il latte o il miele. Poi devo dire che i suoi due fratelli di mio padre erano cuochi, oggi in pensione, quindi era un po’ una tradizione di famiglia fare questo lavoro, anche se loro non venivano dall’alberghiero.
La professionalità dopo la scuola come si è concretizzata?
Terminata la scuola ho girato un po’ tutto il mondo sono stato in Alsazia, in Austria, in Germania, in America e anche in Italia, non solo lavorando ma anche come cliente per assaggiare le cucine dei grandi chef. A 16 anni in un albergo a quattro stelle mangiavo sempre le lasagne alla bolognese, perché erano un piatto che non conoscevo, ne andavo pazzo… e oggi credo che ci sia un ritorno ai piatti semplici come spaghetti con il ragù, carbonara, aglio e olio, che le nuove generazioni non sanno più fare.
Io faccio parte della prima generazione del dopoguerra che ha imparato questo mestiere con un sistema scolastico e con un apprendistato come si deve.
Ho letto che dai molta importanza alla formazione dei giovani?
Sì perché al giorno d’oggi l’informazione passa solo attraverso internet, facebook, twitter. La gente non ha più la tranquillità psichica di fare degli approfondimenti, oggigiorno la gioventù ha tanta informazione, ma poca conoscenza.
A questo proposito cosa ne pensi delle trasmissioni televisive in cui imperversano cuochi più o meno professionisti e dilettanti?
Le trasmissioni televisive adesso affronteranno un periodo di declino perché i cuochi che hanno partecipato, credo che abbiamo fatto un grande errore di collocazione, sono stati messi nella parte dedicata alla show invece di far parte della cultura. Oggi diventa tutto banale se si pensa più al fatto spettacolare che a quello culturale.
Quali sono, secondo te, i requisiti indispensabili per fare questo lavoro?
Bisogna essere persone molto solari, aperti a tutte le opportunità che si presentano, bisogna essere attenti a ciò che ci circonda e sanamente curiosi per avere il coraggio di osare. Tutti i sensi sono importanti: se io vado in un giardino dove c’è il timo, anche se l’ho già sentito tante volte, il mio olfatto deve essere così attento da farmelo notare nuovamente. Il palato è il nostro capitale, ti faccio un esempio, se io sono in grado di armonizzare dei contrasti come fare una crema di wasabi su una crema di caramello e si sposano perfettamente, significa che ho una grande sensibilità. Poi è importante la cultura per sapere da dove vengo e dove voglio andare: solo così capirò se sono portato per l’evoluzione o restare sul classico. Nel nostro lavoro conta per il 50% la logistica, è inutile fare bellissimi piatti se poi vengono serviti freddi. Sono reduce da Copenhagen dove ho mangiato in grandi ristoranti e ho notato che arrivano in tavola i piatti tiepidi o freddi. E’un gran peccato perché il cibo quando è freddo non mi permette di sentire gli aromi finali. Poi è molto importante la comunicazione.
Nella sua biografia lei definisce così la sua cucina “tradizionale a base di prodotti regionali e all’insegna di creatività e innovazione”, perché non si può prescindere dalla tradizione?
Il mio stile di vita è questo, sapendo la provenienza del cibo so quali sono le mie radici, io non abbandono la tradizione perché mi appartiene, è la mia terra. So che oggi è tutto globalizzato, ma se in Alto Adige c’è un maso, nel cui parcheggio ci sono auto che valgono di più del maso stesso, e i proprietari stanno mangiando canederli e crauti, è perché cercano un’anima. Cercano il tocco della terra dove sono e la globalizzazione ti porta proprio a cercare di capire cosa vuoi dalla vita, non è un ragionamento ma una questione di “pancia “, un sentimento che ti porta a godere la vita al momento e per godere altre culture, prima devo conoscere la mia.
Il suo è un lavoro molto impegnativo, cosa fa nel tempo libero, se ne ha?
Adesso i valori stanno cambiando e ho capito che devo ritagliarmi del tempo per me, per leggere un giornale, un libro oppure per dormire, io dormo a qualsiasi ora in qualsiasi momento della giornata. Unico hobby la bicicletta per liberare la mente, oppure andare in montagna la domenica, da solo o con pochi amici, in silenzio per fare meditazione. Ma sono momenti rari, perché confesso, lavoro ancora tanto…
C’è ancora un sogno nel cassetto?
Vorrei realizzare una scuola di educazione del gusto, dobbiamo fare un grande investimento sui giovani per trasmettergli la cultura del palato, non solo della cucina o del vino,ma del benessere fisico che ne deriva e tanto altro. Questo è un mio grande desiderio e spero nei prossimi 3 o 4 anni di realizzarlo. Ho fatto già un corso sperimentale nella scuola media di Appiano, con grande successo, ma a causa della politica non ha avuto seguito.